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SI PAGANO LE TASSE SUI CANONI DI LOCAZIONE NON RISCOSSI? PDF Stampa E-mail

Il Testo Unico delle imposte, d.P.R. n. 917 del 1986, agli artt. 23 e 34, prevede che il reddito degli immobili locati per fini diversi da quello abitativo – per i quali opera, invece, la deroga introdotta dall'art. 8 l. n. 431 del 1998 – è individuato in relazione al reddito locativo fin quando risulta in vita un contratto di locazione.

Da questo disposto di legge ne consegue che anche i canoni non percepiti per morosità costituiscono reddito tassabile, fino a che non sia intervenuta la risoluzione del contratto o un provvedimento di convalida dello sfratto.

Il criterio di imputazione di questo tipo di reddito è costituito dalla titolarità del diritto reale, a prescindere dalla sua effettiva percezione.

E' quindi necessario ottenere la risoluzione del contratto o la convalida per morosità il prima possibile per evitare la tassazione di canoni non percepiti.

Quando è possibile ottenere la convalida di sfratto per morosità nei fondi ad uso commerciale?

Sebbene la Legge n. 292 del 1978 non preveda una norma di riferimento di risoluzione automatica, come quella prevista per gli immobili ad uso abitativo, la giurisprudenza maggioritaria si è orientata nell'estendere tale risoluzione anche agli immobili commerciali, senza però creare automatismi e valutando caso per caso a secondo della gravità dell'inadempimento.

In particolare la gravità dell’inadempimento, previsto per le locazioni abitative dall'art. 5 della L. n. 392 del 1978, è rappresentato dal mancato pagamento del canone locatizio, decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero dal mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone).

La Stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1428/2017, ha affermando che sebbene “l'art. 5 non è direttamente applicabile, il criterio legale dettato da tale disposizione normativa può però essere tenuto in considerazione come parametro di orientamento per valutare in concreto, a norma dell'art. 1455 c.c., se l'inadempimento del conduttore sia stato o non di scarsa importanza”.

E facendo tesoro di questo orientamento il Tribunale di Roma, con una recente pronuncia, ha rilevato come il mancato pagamento per ben tre mensilità costituisca grave inadempimento.(Tribunale Roma sez. VI, 15/02/2018, n.3505)

Bisogna pagare le tasse anche se l'immobile viene locato all'insaputa del comproprietario?

Una recente sentenza della Cassazione, Sez. Tributaria, è intervenuta proprio nel caso di un immobile concesso in locazione dal comproprietario che aveva tenuto all'oscuro l'altro comproprietario.

L'Agenzia delle Entrate aveva mandato avviso di accertamento nella quale aveva determinato un maggiore reddito derivante dalla locazione, ritenendo applicabile il disposto dell’art. 26 TUIR, sosteneva che i canoni di locazione avrebbero dovuto essere dichiarati indipendentemente dalla effettiva percezione.

In particolare il contribuente faceva presente di aver intrapreso un’azione monitoria nei confronti del contitolare dell’immobile, al fine di ottenere il pagamento della quota del canone di locazione, precisando che riscossa la quota spettantegli, avrebbe adempiuto all’obbligazione tributaria.

La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso del contribuente, confermando la pretesa impositiva in ordine alla applicabilità, in via analogica, dell’art. 26 TUIR, sentenza confermata anche in appello.
Il contribuente impugnava la sentenza innanzi alla Corte di Cassazione, rilevando l’insussistenza dell’obbligazione tributaria e l’inapplicabilità dell’art. 26 TUIR, trattandosi non di canoni non corrisposti, bensì di canoni “usurpati”.

La Corte di Cassazione, con la sentenza sotto trascritta, ha confermato il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui i redditi da locazione di immobili sono tassabili anche se non percepiti.

Secondo la Corte, alla previsione di cui all’art. 26 TUIR è, in linea di principio, riconducibile qualsivoglia fattispecie relativa alla mancata percezione del provento da locazione, indipendentemente dalla causa, con l’unica eccezione dei casi di morosità del conduttore.

L’applicabilità di tale norma anche ai casi di mancata riscossione del canone, precisa la Suprema Corte, non viola il principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione, atteso che “la capacità contributiva, quale idoneità all’obbligazione di imposta, desumibile dal presupposto economico al quale l’imposta è collegata, può̀ essere ricavata, in linea di principio, da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di costituzionalità” (C.Cost. 26 luglio 2000, n. 362; C.Cost. 4 maggio 1995, n. 143; C.Cost. 5 febbraio 1992, n. 42).

La determinazione dei redditi sulla base del canone di locazione pattuito, è da considerarsi del tutto eccezionale e deve armonizzarsi alla regola generale in base alla quale “i redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo indipendentemente dalla riscossione del provento”.

L'obbligo impositivo sarà operante “solo fin quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un canone in senso tecnico. Quando, invece, la locazione (rapporto contrattuale) sia cessata per scadenza del termine (art. 1596 c.c.) ed il locatore pretenda la restituzione essendo in mora il locatario per il relativo obbligo, ovvero quando si sia verificata una qualsiasi causa di risoluzione del contratto, ivi comprese quelle di inadempimento in presenza di clausola risolutiva espressa e di dichiarazione di avvalersi della clausola (art. 1456 c.c.), o di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.), tale riferimento al reddito locativo non sarà più praticabile, tornando in vigore la regola generale”.

Il reddito da locazione in quanto reddito fondiario è strettamente collegato alla titolarità del diritto reale e prescinde dalla reale percezione.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
I FATTI DI CAUSA

Con ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Salerno Giuseppe B. impugnava l'avviso di accertamento sopraindicato col quale l'Agenzia delle Entrate, accertava per l'anno 2004, un maggior reddito derivante da locazione di immobili per Euro 5.928,00. Deduceva di essere comproprietario di un immobile col nipote B.A., che lo aveva locato senza informarlo, e di aver perciò intrapreso davanti al Tribunale di Avellino un'azione monitoria nei confronti del nipote per il pagamento della quota di canone spettantegli, dopo la riscossione del quale avrebbe provveduto al pagamento della relativa imposta.

L'Agenzia delle Entrate contestava la pretesa del ricorrente sostenendo che i canoni di locazione avrebbero dovuti essere dichiarati indipendentemente dall'effettiva riscossione.

La Commissione Tributaria Provinciale rigettava la domanda con la sentenza 311/06/2011 che, appellata davanti alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, sez stacc. di Salerno, era stata da questa confermata, in applicazione analogica dell'art. 26 TUIR.

Ricorre per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale il contribuente, deducendo, nei due motivi sopra riportati, l'insussistenza dell'obbligazione tributaria in assenza di reddito e l'inapplicabilità del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 26, trattandosi non di canoni non corrisposti, ma di canoni usurpati.

Resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate, che eccepisce preliminarmente l'inammissibilità del ricorso che sostanzialmente ripropone le questioni di fatto già esaminate in merito e, comunque la sua infondatezza, considerato che con l'azione giudiziaria intrapresa contro il nipote il ricorrente avrebbe di fatto ratificato il suo operato. Ribadisce il principio di competenza stabilito dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 26.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE

I due motivi, strettamente connessi, possono essere trattati unitariamente.

Secondo la sentenza impugnata, il D.P.R. n. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 26, in base al quale il contribuente è obbligato a dichiarare anche i canoni relativi alle mensilità non corrisposte, disciplina ogni fattispecie di mancata percezione dei canoni di locazione, quale sia la causa concreta della mancata percezione, salvi i correttivi previsti in caso di morosità del conduttore; correttivi secondo i quali "i redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell'ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare".

Con il primo motivo il ricorrente sostiene che l'art. 26 non è applicabile al caso di specie, dove non si tratta di canoni non riscossi per morosità del conduttore, ma di usurpazione, da parte del comproprietario, dei poteri dell'altro comproprietario; usurpazione che avrebbe comportato l'imputazione automatica di un reddito fondiario nella sua totale inazione. Sostiene conseguentemente che non sarebbe stata tutelata la sua buone fede, in violazione dell'art. 10 dello statuto del contribuente, e che sarebbe stato violato l'art. 53 Cost. in quanto egli sarebbe stato sottoposto ad imposizione fiscale senza aver percepito reddito.

Il motivo è destituito di fondamento.

Secondo il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 25, "sono redditi fondiari quelli inerenti ai terreni e ai fabbricati situati nel territorio dello Stato che sono o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni o nel catasto edilizio urbano".

Dello stesso D.P.R. n. 917 del 1987, art. 26, comma 1, stabilisce che "i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale...".

Contrariamente all'assunto del ricorrente, l'applicazione, al caso di specie, dell'art. 26, non ne implica un'interpretazione costituzionalmente illegittima, in quanto, come già osservato dalla giurisprudenza costituzionale, "la capacità contributiva, quale idoneità all'obbligazione di imposta, desumibile dal presupposto economico al quale l'imposta è collegata, può essere ricavata, in linea di principio, da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di costituzionalità" (Corte Cost., sent. 362/'00; sentenze n. 143 del 1995, n. 315 del 1994 e n. 42 del 1992). Secondo quanto poi precisato dalla stessa Corte Costituzionale, il sistema del riferimento per la determinazione del reddito dei fabbricati al canone risultante dal contratto di locazione - come sopra sottolineato - è del tutto eccezionale e deve armonizzarsi nel contesto di un sistema che pone la regola per cui i redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo indipendentemente dalla percezione. Sicchè esso potrà operare nel tempo solo fin quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un canone in senso tecnico. Quando, invece, la locazione (rapporto contrattuale) sia cessata per scadenza del termine (art. 1596 c.c.) ed il locatore pretenda la restituzione essendo in mora il locatario per il relativo obbligo, ovvero quando si sia verificata una qualsiasi causa di risoluzione del contratto, ivi comprese quelle di inadempimento in presenza di clausola risolutiva espressa e di dichiarazione di avvalersi della clausola (art. 1456 c.c.), o di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.), tale riferimento al reddito locativo non sarà più praticabile, tornando in vigore la regola generale.

Nel quadro di questi principi e di queste puntualizzazioni, la distinzione fra canone locatizio non riscosso e canone "usurpativamente" somministrato è del tutto sterile, in quanto per sua natura il reddito fondiario è legato alla titolarità del diritto reale, a prescindere dalla sua effettiva percezione.

Questo Collegio non ignora il diverso orientamento espresso dalla sentenza n. 2771/2016, che ha ritenuto il reddito derivante dalla locazione di un fabbricato reddito diverso da quello fondiario e quindi imputabile al locatore, a prescindere dalla titolarità del diritto reale.

Se è invero evidente che secondo il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 25 e s.s., i redditi fondiari (dominicali, agrari e di fabbricati) sono parametrati a tariffe d'estimo (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 28,34 e 37), è altrettanto innegabile che, per quanto concerne i redditi di fabbricati, sia l'art. 26 che l'art. 37 introducono, all'interno del testo, la variabile del reddito locatizio senza alcuna modificazione del criterio d'imputazione, che resta quella della titolarità del diritto reale. Cosa che rende sistematicamente impossibile estrapolare il reddito locatizio dal reddito fondiario e dalla sua disciplina, che infatti la Corte costituzionale, nella sentenza sopra riportata, ha ritenuto di dover armonizzare.

Quanto sopra detto appare confermato innanzi tutto dalla sentenza n. 19166 del 2003, richiamata dalla sentenza 2771/2016, che ha negato natura fondiaria al reddito locativo percepito dal promissario acquirente di un immobile solo in quanto non (ancora) titolare del diritto reale cui ha ritenuto è indissolubilmente legato il reddito fondiario ("La possibilità della percezione di un reddito effettivo difforme derivante dalla locazione del bene è prevista come ipotesi derogativa alla imposizione sulla base del reddito catastale ma presuppone sempre che la locazione sia riferibile a un soggetto titolare di uno dei diritti reali indicati nella norma").

E poi esplicitamente affermato in cass., 20764/2006 ("In tema di imposte sui redditi, il reddito fondiario derivante dalla locazione di un immobile sottoposto a pignoramento concorre alla formazione del reddito del debitore esecutato, indipendentemente dalla percezione dei canoni, a norma del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 23").

Nello stesso senso sembra potersi leggere la sentenza 15171/2009, che implicitamente comprende, fra i redditi fondiari, quelli percepiti, fino alla conclusione del procedimento per convalida di sfratto, in costanza di un contratto di locazione ad uso abitativo.

Sembra poi perfettamente in termini la sentenza 651/2012 ("In tema di imposte sui redditi, in base al combinato disposto del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 23 e 34, il reddito degli immobili locati per fini diversi da quello abitativo - per i quali opera, invece, la deroga introdotta dalla L. 9 dicembre 1988, n. 431, art. 8 - è individuato in relazione al reddito locativo fin quando risulta in vita un contratto di locazione, con la conseguenza che anche i canoni non percepiti per morosità costituiscono reddito tassabile, fino a che non sia intervenuta la risoluzione del contratto o un provvedimento di convalida dello sfratto. In tema di imposte sui redditi, in base al combinato disposto del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 23 e 34, il reddito degli immobili locati per fini diversi da quello abitativo - per i quali opera, invece, la deroga introdotta dalla L. 9 dicembre 1988, n. 431, art. 8 - è individuato in relazione al reddito locativo fin quando

risulta in vita un contratto di locazione, con la conseguenza che anche i canoni non percepiti per morosità costituiscono reddito tassabile, fino a che non sia intervenuta la risoluzione del contratto o un provvedimento di convalida dello sfratto"). E così ancora cass., 19240/2016 e, da ultimo, cass., 26447/2017.

Palesemente incongruo è il richiamo alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, trattandosi di norma che regola l'azione dell'amministrazione finanziaria e non la disciplina astratta dell'obbligazione tributaria che rispetta, come sopra si è detto, l'art. 53 Cost..

Il rigetto dell'impugnazione implica il versamento del doppio contributo unificato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13-quater.
PQM
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle refusione delle spese in favore dell'Agenzia delle Entrate delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.800,00.

Sussistono i presupposti perchè il ricorrente sia tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.

Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019

 

 
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