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Accordi di separazione: ingratitudine del figlio e revoca del trasferimento della casa
Spesso in sede  di separazione personale i coniugi decidono di trasferire  la proprietà della casa al figlio. Cosa succede in caso di ingratitudine sopravvenuta del figlio nei confronti del genitore?
Il Codice Civile prevede espressamente come causa della revoca della donazione l’ ingratitudine o la sopravvenienza di figli.
In particolare l’art. 801 del Codice Civile prevede che la domanda di revoca per ingratitudine può essere fatta quando il donatario ha commesso uno dei reati previsti dall’art. 463 Cod. Civile, vale a dire ha ucciso o tentato di uccidere il donante o uno stretto parente dello stesso, oppure ha commesso il reato di calunnia. Inoltre vi è revoca della donazione qualora il donatario si è reso colpevole del reato di ingiuria grave verso il donante o ha dolosamente arrecato pregiudizio al patrimonio del donante o gli ha rifiutato indebitamente gli alimenti.
Orbene cosa succede se la donazione è prevista negli accordi di separazione o divorzio tra i coniugi?
La  sentenza della Cassazione sotto trascritta esamina il caso di un figlio che avrebbe offeso il padre tant’è che lo stesso  chiedeva al tribunale la revoca della donazione fatta proprio in sede di separazione.
Il figlio si opponeva ritenendo non ammissibile la domanda in quanto non trattavasi di donazione ma di un contratto a favore di un terzo, essendo stata prevista la donazione nell’accordo di separazione tra la madre ed il padre. Riteneva poi non sussistere fatti di ingratitudine.
Il tribunale riteneva non sussistere la causa di revocazione per ingratitudine, ed in particolare la Corte d’Appello nel confermare la sentenza di primo grado, specificava che i coniugi in sede di  separazione consensuale,   nel  provvedere  a ripartire le proprietà acquistate in costanza di matrimonio donandole ai figli omissis, avevano inteso assolvere all'obbligo di mantenimento dei figli ed era quindi da considerarsi priva dello spirito di liberalità l'attribuzione patrimoniale de qua.
In particolare si specificava che la causa degli accordi di separazione era  l'obbligo ineludibile di ciascun genitore, imposto dal legislatore al mantenimento dei figli; - tale obbligo non cessa "ipso facto" al raggiungimento della maggiore età da parte dei figli ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell'obbligo stesso  non dia la prova che il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica. Inoltre cessa l’obbligo di mantenimento nel caso che il figlio sia  nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente ovvero è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua (discutibile) scelta.
Nel caso in esame nella sentenza il figlio risultava non ancora autosufficiente economicamente al momento della stipula degli accordi di separazione. In pratica i giudici ritenevano sussistere come causa del trasferimento della casa in sede di separazione, non una  donazione, ma un adempimento degli obblighi di mantenimento.
Anche la Cassazione ha ribadito l’orientamento dei giudici precedenti ritenendo non censurabile in sede di Cassazione l’interpretazione del giudice di primo grado sulla causa del trasferimento immobiliare in sede di separazione.  In particolare precisa la Cassazione come l'interpretazione del contratto, consistendo in un'operazione di accertamento della volontà del contraenti, si risolve in un'indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche, che deve essere specificamente indicata in modo da dimostrare - in relazione al contenuto del testo contrattuale - l'erroneo risultato interpretativo cui per effetto della predetta violazione 'è giunta la decisione, chè altrimenti sarebbe stata con certezza diversa la decisione. Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella  prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati.
Pertanto si può concludere affermando che i trasferimenti di proprietà all’interno degli accordi di separazione sono validi e costituiscono donazioni, e come tali sono revocabili nei casi sopra detti di ingratitudine o indegnità a succedere, solo nel caso in cui la causa dell’accordo sia quella di liberalità (tipica della donazione) e non quella di provvedere al mantenimento dei figli.  L’indagine sull’interpretazione della causa degli accordi spetterà al giudice di primo grado.
Sentenza integrale
 Cassazione Civile , Sez. 2 , sentenza n. 14555 del 15 luglio 2016
 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.    IL PADRE (omissis) conveniva in giudizio innanzi il Tribunale di Termini Imerese il figlio (omissis), chiedendo la revoca per ingratitudine dell'atto di donazione, stipulato in sede di accordo con il coniuge Coniuge (omissis) di separazione personale omologato nel marzo 1994, ed avente ad oggetto l'appartamento sito in……  (omissis)
Esponeva che il figlio si era reso responsabile di ingiuria grave nei propri confronti ai sensi dell'art. 801 cod. civ. e chiedeva, pertanto, la restituzione del donatum, oltre che dei beni mobili esistenti all'interno del fabbricato e dei frutti maturati dal giorno della domanda.
Instauratosi il contraddittorio, il convenuto eccepiva l'inammissibilità della domanda, rilevando in particolare la riconducibilità delle pattuizionis stipulate dall'attore nell'ambito di un contratto preliminare a favore di terzo e contestando la loro qualificazione in termini di donazione. Nel merito, deduceva l'insussistenza dei presupposti di fatto della revocazione per ingratitudine. Chiedeva, pertanto, il rigetto delle domande attore e ed in via riconvenzionale l'esecuzione in forma specifica, ai sensi 2932 cod. civ. del contratto oggetto di causa.
Il Tribunale, in data 7 novembre 2004, emetteva sentenza non definitiva con la quale rigettava la domanda dell'attore di revocazione per ingratitudine e di risoluzione della attribuzione patrimoniale disposta in favore del convenuto.
 Con separata ordinanza, la causa veniva • rimessa sul ruolo istruttorio al fine di accertare la quota di proprietà spettante all'attore sugli immobili siti in …(omissis), onde provvedere sulla domanda riconvenzionale formulata dal convenuto.
Con sentenza, in data 12 dicembre 2005, il Tribunale non definitivamente pronunciando sulla domanda riconvenzionale proposta dal  figlio  nei confronti del padre, trasferiva in favore del l'appartamento de quo.
2.    Procedutosi  alla riunione degli appelli dall'attore proposti avverso le predette decisioni, con Derma n. 1779/10 la Corte di appello di Palermo li rigettava. Per quel che ancora interessa nella presente sede, i Giudici ritenevano quanto segue - con atto in data 28 ottobre 1995 i coniugi … (omissis) decidevano di effettuare separazione consensuale e provvedevano, in detta occasione, a ripartire le proprietà acquistate in costanza di matrimonio donandole ai figli omissis; con tale atto i genitori avevano inteso assolvere all'obbligo di mantenimento dei figli ed era quindi da considerarsi priva dello spirito di liberalità l'attribuzione patrimoniale de qua, essendo la causa di tali accordi l'obbligo ineludibile di ciascun genitore, imposto dal legislatore al mantenimento della prole; - tale obbligo non cessa "ipso facto" al raggiungimento della maggiore età da parte dei figli ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell'obbligo stesso • non dia la prova che il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica, ovvero è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua (discutibile) scelta , posto che la mera prestazione di lavoro da parte del figlio occupato non è di per sé tale da dimostrarne la totale autosufficienza economica, atteso che il trattamento economico percepito deve essere proporzionato e sufficiente ai sensi dell'art. 36 Cost., ad assicurargli l ' autosufficienza ; nella specie, la circostanza che l'appellato fosse, all'epoca (28.10.1993 ) della sottoscrizione degli accordi di separazione tra i genitori, agente ausiliario della Polizia di Stato, non valeva affatto a provare che lo stesso avesse raggiunto l'indipendenza economica stante che l'attività svolta costituiva soltanto una modalità di svolgimento del c.d. servizio di leva dalla quale ricavava soltanto una modesta e precaria retribuzione e non gli assicurava affatto alcuna certezza di assunzione nel corpo della Polizia di Stato, atteso che il figlio … omissis, soltanto dopo il decorso di un anno dal collocamento in congedo ( nel corso del quale era stato trattenuto in servizio con la qualifica di agente ausiliario trattenuto) e dopo la frequenza di un corso di sei mesi poteva ritenersi assunto con l'immissione nel ruolo degli agenti ed assistenti della Polizia di Stato (23.2.2010 ), con conseguente raggiungimento dell'indipendenza economica.
3.     Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il padre… omissis sulla base di unico motivo illustrato da memoria.
4.    Resiste con  controricorso l'intimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
 1.1. L'unico motivo, denunciando violazione o falsa applicazione dell'art. 1362 cod. civ., errata interpretazione del contratto nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, censura la sentenza impugnata che, in contrasto con il tenore letterale e il complessivo contenuto dell'accordo intercorso fra i coniugi in sede di separazione personale, aveva erroneamente ritenuto che il negozio traslativo avesse causa solutoria, omettendo di verificare la causa concreta del contratto alla stregua delle pattuizioni effettivamente convenute, da cui era emerso che i coniugi non avevano fatto riferimento ad alcuna obbligazione di mantenimento nei confronti dei figli quanto piuttosto avevano manifestato la volontà di suddividere e assegnare loro le proprietà; .peraltro, il valore delle attribuzioni patrimoniali sarebbe stato del tutto sproporzionato rispetto a una presunta obbligazione di mantenimento a favore dei figli maggiorenni, autosufficienti e all'epoca residenti con il padre . Denuncia ancora l'errore compiuto dai Giudici laddove avevano negato che il convenuto avesse raggiunto la indipendenza economica quando dalle note del Ministero era risultato che, al momento dell'accordo il medesime era stato assunto nel 1992 quale agente ausiliario e percepiva una retribuzione di lire 1.879.504 ed era da escludere che tale posizione lavorativa non avrebbe garantito l'assunzione definitiva nel ruolo della Polizia di Stato.
 1.2. Il motivo è infondato. Va premesso che sono valide le convenzioni con le quali i  coniugi, in sede di separazione consensuale, pattuiscono il trasferimento patrimoniale ai figli, a titolo gratuito e in funzione di adempimento dell'obbligo genitoriale di mantenimento ( cass. 21736/2013). In effetti, il IL PADRE (OMISSIS) contesta la interpretazione data dai Giudici circa la natura solutoria del trasferimento immobiliare de quo, sostenendone quella di donazione.
Orbene, la sentenza ha esaminato il tenore letterale dell'accordo e, nel determinare il significato da attribuire alle espressioni adoperate, ha ritenuto che i coniugi, nel procedere alla divisione e assegnazione delle proprietà acquistate in costanza di matrimonio, avevano in tal modo inteso fare fronte all'obbligo di mantenimento loro incombente nei confronti dei figli che non avevano ancora raggiunto l'indipendenza economica : in proposito, i Giudici hanno evidenziato che il sacrificio economico era a carico di entrambi i genitori. Qui occorre ricordare che l'interpretazione del contratto, consistendo in un'operazione di accertamento della volontà del contraenti, si risolve in un'indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche, che deve essere specificamente indicata in modo da dimostrare - in relazione al contenuto del testo contrattuale - l'erroneo risultato interpretativo cui per effetto della predetta violazione 'è giunta la decisione, chè altrimenti sarebbe stata con certezza diversa la decisione. Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella  prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati; l'interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l'altra (Cass.7500/2007; 24539/2009). Nella specie, la denuncia si risolve nella prospettazione di una interpretazione della volontà dichiarata dai coniugi difforme da quella accolta dalla Corte, sollecitando un inammissibile riesame del merito.
b) i Giudici hanno escluso che al momento dell'accordo il convenuto avesse raggiunto la indipendenza economica: trattasi di accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, da cui la sentenza à immune. Ed invero, le critiche formulate dal IL PADRE (OMISSIS) non sono idonee a scalfire la correttezza e la congruità dell'iter logico giuridico seguito dalla sentenza: le censure lamentate, in realtà, non denunciano un vizio logico della motivazione ma si concretano in argomentazioni volte a sostenere l'erroneo apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dai giudici. Al riguardo,va sottolineato che il vizio deducibile ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al - solo esame del contenuto del provvedimento impugnato ovvero alla sua incoerenza logica, quale risulti dalle stesse argomentazioni del giudice,  e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta evidenziando che i coniugi avevano inteso ripartire le proprietà acquistate in costanza di matrimonio, hanno accertato che il sacrificio economico era a carico di entrambi i genitori i quali avevano in tal modo inteso fare fronte all'obbligo di mantenimento loro incombente. Il ricorso va rigettato. Le spese della presente fase vanno poste a carico del IL PADRE (OMISSIS), risultato soccombente Rigetta il ricorso.
Condanna il IL PADRE (OMISSIS) al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in euro 3.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per onorari di avvocato oltre accessori di legge. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 maggio 2016

 
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