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RESPONSABILITA' INTERMEDIARIO FINANZIARIO PDF Stampa E-mail

Responsabilità precontrattuale e contrattuale a carico dell'intermediario finanziario: sentenza Cassazione Sezione Unite, 19.12.07)

La violazione degli obblighi che la legge pone a carico degli intermediari può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, ove questi ultimi avvengano nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto d'intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti. Può, invece, dar luogo a responsabilità contrattuale, e quindi eventualmente condurre alla risoluzione del predetto contratto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni d'investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto d'intermediazione finanziaria. In nessun caso, in difetto di previsione normativa in tal senso, la violazione dei suddetti doveri comportamentali può determinare la nullità del contratto d'intermediazione, o dei singoli atti negoziali conseguenti, a norma dell'art. 1418 comma (Cassazione civ., Sezioni Unite, 19 dicembre 2007, n. 26725)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 21 agosto 1995 il presidente del Tribunale di Torino, accogliendo un ricorso proposto dall'Is. Ba. Sa. Pa. (cui e' poi succeduta la Sa. Pa. IM. s.p.a., e che in prosieguo sara' comunque indicato solo come Sa. Pa.), ingiunse con decreto al Sig. Gr. Lo. di pagare all'istituto ricorrente la somma di lire 427.168.304, costituente il saldo debitorio di un conto corrente al quale accedeva una linea di credito per operazioni in valuta e per operazioni su titoli derivati.

L'ingiunto propose opposizione ed, oltre a sollevare contestazioni sulla ritualita' del procedimento monitorio, sull'addebito della commissione di massimo scoperto, sulla decorrenza e sulla misura degli interessi convenzionali applicati, eccepi' che ai crediti della banca derivanti dall'esecuzione di contratti in questione non competeva azione per il pagamento, trattandosi di negozi assimilabili al gioco o alla scommessa e percio' rientranti nella previsione dell'articolo 1933 c.c.. In corso di causa sostenne, poi, che il passivo accumulato sul conto era frutto di operazioni finanziarie nel compimento delle quali l'istituto di credito era venuto meno ai doveri impostigli dall'articolo 6 dell'allora vigente Legge n. 1 del 1991 perche' aveva suggerito investimenti estremamente rischiosi senza adeguata informazione per il cliente ed in eccesso rispetto alle disponibilita' finanziarie del medesimo e perche' aveva agito in conflitto d'interessi con il cliente medesimo. Eccepi' quindi la nullita' dei contratti stipulati con il Sa. Pa. e chiese la condanna in proprio favore di detto istituto al risarcimento dei danni.

L'opposizione fu accolta dal tribunale, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo, solo per i profili attinenti alla commissione di massimo scoperto ed alla decorrenza degli interessi. Le ulteriori ragioni addotte dall'opponente non furono invece ritenute fondate ed il medesimo opponente fu percio' condannato al pagamento del debito capitale indicato nel ricorso monitorio, oltre agli interessi al tasso convenzionale richiesto.

Il gravame proposto contro tale decisione dal Sig. Gr. fu rigettato dalla Corte d'appello di Torino con sentenza depositata il 10 novembre 2001.

La corte piemontese ritenne infondata l'eccezione di nullita' dei contratti aventi ad oggetto le operazioni finanziarie in questione osservando che le violazioni dedotte in causa riguardavano la condotta prenegoziale dell'istituto di credito, oppure obblighi legali accessori afferenti all'adempimento dei contratti gia' conclusi, ma non potevano riflettersi sulla validita' di detti contratti. Escluse che alle menzionate operazioni potesse applicarsi la previsione dell'
articolo 1933 c.c., rientrando esse tra quelle che la Legge n. 1 del 1991 articolo 23 espressamente sottrae alla citata previsione del codice. Stimo' inammissibili, perche' generiche, le doglianze riguardanti la ritualita' del procedimento monitorio e la misura degli interessi debitori. Dichiaro' inammissibile la domanda di risarcimento dei danni in quanto proposta tardivamente solo in corso di causa. Segui' la condanna dell'appellante alle spese del grado, comprensive di compensi professionali liquidati pero' non secondo i dettami della tariffa forense, ritenuta inapplicabile alla stregua dei principi desumibili dal Trattato dell'Unione europea, bensi' sulla base dei parametri posti dall'articolo 2233 c.c., comma 2.

Avverso tale sentenza il Sig. Gr. ha proposto ricorso per Cassazione articolato in cinque motivi ed illustrato poi con memoria.

Ha resistito con controricorso e memoria il Sa. Pa..

Con ordinanza n. 3684 del 16 febbraio 2007, la prima sezione civile di questa corte ha rilevato che, nella sentenza della stessa prima sezione del 29 settembre 2005, n. 19024, e' stato escluso che l'inosservanza degli obblighi informativi stabiliti dalla Legge n. 1 del 1991
articolo 6 possa cagionare la nullita' del negozio, poiche' quegli obblighi informativi riguardano elementi utili per la valutazione della convenienza dell'operazione e la loro violazione non da luogo a mancanza del consenso, e perche' la nullita' del contratto per contrarieta' a norme imperative postula una violazione attinente ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, relativi alla struttura o al contenuto del contratto, e non invece all'illegittimita' della condotta tenuta nel corso delle trattative ovvero in fase di esecuzione, a meno che questa sanzione non sia espressamente prevista anche in riferimento a dette ipotesi. Nella citata ordinanza della prima sezione e' stato pero' manifestato il dubbio che il principio dianzi ricordato, quantunque corrispondente ad un tradizionale filone giurisprudenziale, non sia coerente con i presupposti da cui muovono molteplici altre decisioni di questa corte: la quale ha ravvisato ipotesi di nullita' c.d. virtuale del contratto in caso di mancanza di autorizzazione a contrarre o di mancanza di necessari requisiti soggettivi di uno dei contraenti, in caso di contratti concepiti in modo da sottrarre una delle parti agli obblighi di controllo su di essa gravanti o da consentire l'aggiramento di divieti a contrarre, ed in caso di circonvenzione d'incapace. Situazioni, queste, nelle quali e' appunto la violazione di norme imperative concernenti la fase precontrattuale o le modalita' esecutive del rapporto contrattuale a venire in evidenza. D'altronde - ha osservato ancora l'ordinanza - il tradizionale principio di non interferenza delle regole di comportamento con quelle di validita' del negozio, cui la citata sentenza n. 19024/05 si ispira, appare incrinato da molteplici recenti interventi del legislatore, che assegnano rilievo al comportamento contrattuale delle parti anche ai fini della validita' del contratto: tali la Legge n. 192 del 1998 articolo 9 in tema di abuso di dipendenza economica nei contratti di subfornitura di attivita' produttive, l'articolo 52, comma 3, del codice del consumo ( Decreto Legislativo n. 206 del 2005), in tema di contratti stipulati telefonicamente, l'articolo 34 del citato codice, in tema di clausole vessatorie, il Decreto Legislativo n. 231 del 2002 articolo 7 in tema di clausola di dilazione dei termini di pagamento, e la Legge n. 287 del 1990 articolo 3 in tema di clausole imposte con abuso di posizione dominante.

Il ricorso e' stato percio' rimesso alle sezioni unite, sia per dirimere il ravvisato contrasto di giurisprudenza sull'interferenza tra regole di comportamento e regole di validita' del contratto, sia comunque perche' si tratta di questione di massima e di particolare importanza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo del ricorso tocca la questione di diritto per la cui risoluzione sono state investite le sezioni unite.

Il ricorrente, lamentando la violazione dell'
articolo 1418 c.c., e della Legge 2 gennaio 1991, n. 1 articolo 6 nonche' vizi di motivazione dell'impugnata sentenza, critica la corte d'appello per aver affermato che la violazione delle prescrizioni con cui il citato articolo 6, impone determinati comportamenti agli intermediari finanziari nei riguardi dei propri clienti, incidendo tali prescrizioni sul momento prenegoziale o su quello esecutivo ma non sul contenuto del contratto, non potrebbe determinarne la nullita'. Altrimenti - argomenta il ricorrente - non sarebbe mai possibile far discendere la nullita' del contratto dalla violazione di norme imperative che pongono limiti alla liberta' delle parti con riferimento a situazioni esterne al negozio, come ad esempio quelle concernenti la qualita' dei contraenti o i presupposti e le procedure del contrarre; ma, viceversa, vi sono molteplici casi (per esempio: mancanza di autorizzazione allo svolgimento dell'attivita' d'intermediazione mobiliare, difetto di adempimenti preliminari in materia valutaria, e simili) in cui la violazione di norme non attinenti al contenuto del negozio e' stata ritenuta sufficiente a provocare la nullita'.

La sentenza impugnata e' poi anche censurata per avere erroneamente ritenuto che le violazioni contestate alla banca riguardassero soltanto attivita' prenegoziali o esecutive di contratti gia' conclusi. Quelle violazioni invece - a parere del ricorrente - concernevano comportamenti incidenti sulla formazione del consenso delle parti, e quindi sul contenuto dell'accordo che del contratto e' uno degli elementi essenziali.

1.1. Prima di affrontare la questione controversa, giova premettere che, nell'ambito del giudizio di merito, e' stato accertato come le operazioni finanziarie dalle quali trae origine il credito azionato in causa, poste in essere dal Sa. Pa. su disposizione del Sig. Gr., rientrino, per il loro oggetto e per le loro modalita' negoziali ed attuative, tra quelle cui si applicava, al tempo dei fatti di causa, la disciplina della Legge 2 gennaio 1991, n. 1 (in seguito abrogata e sostituita prima dal Decreto Legislativo 23 luglio 1996, n. 415 e poi dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 con successive modificazioni). Tale premessa, che appunto deriva essenzialmente da un accertamento in punto di fatto circa le caratteristiche di dette operazioni, e' ovviamente destinata a restare ferma anche nel presente giudizio di legittimita'.

1.2. Cio' posto, e' utile brevemente ricordare che l'articolo 6 della citata Legge n. 1 del 1991 detta "principi generali e regole di comportamento" cui l'intermediario deve uniformarsi nei rapporti con il cliente. La norma, dopo aver enunciato il dovere di diligenza, correttezza e professionalita' nella cura degli interessi di quest'ultimo (lettera a) e dopo aver posto a carico dell'intermediario il preliminare obbligo di pubblicare e trasmettere un documento contenente informazioni circa le proprie attivita' e la relativa regolamentazione, nonche' circa il proprio eventuale gruppo di appartenenza (lettera b), stabilisce che i diversi servizi alla cui prestazione l'intermediario si obbliga verso il cliente debbono essere disciplinati da un contratto scritto (percio' destinato ad assolvere alla funzione c.d. di "contratto quadro" rispetto alle singole successive attivita' negoziali in cui l'espletamento di quei servizi si esplichera'), contratto di cui la stessa norma indica il contenuto minimo necessario ed una copia del quale deve essere trasmessa al cliente (lettera e). Segue poi una serie di regole legali, per la gran parte volte a disciplinare la prestazione dei servizi ipotizzati nel contratto: l'intermediario deve preventivamente acquisire, sulla situazione finanziaria del cliente, le informazioni rilevanti ai fini dello svolgimento dell'attivita' (know your customer rule) (lettera d); deve tenere costantemente informato il cliente sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni delle operazioni e su qualsiasi altro fatto necessario per il compimento di scelte consapevoli (lettera e); non deve consigliare ne' effettuare operazioni con frequenza non necessaria o di dimensioni inadeguate alla situazione finanziaria del cliente (suitability rule) (lettera f); non puo', salvo espressa autorizzazione scritta, effettuare con il cliente o per suo conto operazioni nelle quali egli abbia, direttamente o indirettamente, un interesse conflittuale (lettera g); deve dotarsi di adeguate procedure di controllo interno (lettera h). Siffatte regole di comportamento, in esecuzione di quanto previsto dalla disposizione della lettera a) sopra citata, sono state poi ulteriormente precisate dalla Consob con proprio regolamento (reg. n. 5386 del 1991).

Dal "contratto quadro", cui puo' darsi il nome di contratto d'intermediazione finanziaria e che per alcuni aspetti puo' essere accostato alla figura del mandato, derivano dunque obblighi e diritti reciproci dell'intermediario e del cliente. Le successive operazioni che l'intermediario compie per conto del cliente, benche' possano a loro volta consistere in atti di natura negoziale, costituiscono pur sempre il momento attuativo del precedente contratto d'intermediazione. Gli obblighi di comportamento cui alludono le citate disposizioni della Legge n. 1 del 1991
articolo 6 (non diversamente, del resto, da quelli previsti dall'articolo 21 del piu' recente Decreto Legislativo n. 58 del 1998), tutti in qualche modo finalizzati al rispetto della clausola generale consistente nel dovere per l'intermediario di comportarsi con diligenza, correttezza e professionalita' nella cura dell'interesse del cliente, si collocano in parte nella fase che precede la stipulazione del contratto d'intermediazione finanziaria ed in altra parte nella fase esecutiva di esso. Attiene evidentemente alla fase prenegoziale l'obbligo di consegnare al cliente il documento informativo menzionato nella lettera b) della citata disposizione dell'articolo 6, ed attiene sempre a tale fase preliminare il dovere dell'intermediario di acquisire le informazioni necessarie in ordine alla situazione finanziaria del cliente, come prescritto dalla successiva lettera d), cosi' da poter poi adeguare ad essa la successiva operativita'. Ma doveri d'informazione sussistono anche dopo la stipulazione del contratto d'intermediazione, e sono finalizzati alla sua corretta esecuzione: tale e' il dovere di porre sempre il cliente in condizione di valutare appieno la natura, i rischi e le implicazioni delle singole operazioni d'investimento o di disinvestimento, nonche' di ogni altro fatto necessario a disporre con consapevolezza dette operazioni (articolo cit., lettera e), e tale e' il dovere di comunicare per iscritto l'esistenza di eventuali situazioni di conflitto d'interesse, come condizione per poter eseguire ugualmente l'operazione se autorizzata (lettera g). Ne' puo' seriamente dubitarsi che anche l'obbligo dell'intermediario di tenersi informato sulla situazione del cliente, in quanto funzionale al dovere di curarne diligentemente e professionalmente gli interessi, permanga attuale durante l'intera fase esecutiva del rapporto e si rinnovi ogni qual volta la natura o l'entita' della singola operazione lo richieda, per l'ovvia considerazione che la situazione del cliente non e' statica bensi' suscettibile di evolversi nel tempo. Attengono poi del pari al momento esecutivo del contratto i doveri di contenuto negativo posti a carico dell'intermediario: quelli di non consigliare e di non effettuare operazioni di frequenza o dimensione eccessive rispetto alla situazione finanziaria del cliente (lettera f).

1.3. Il ricorrente sostiene che, nella specie, il Sa. Pa. ha violato alcune delle disposizioni sopra ricordate. L'istituto bancario, infatti, avrebbe suggerito, e poi direttamente eseguito in veste di controparte, operazioni nelle quali aveva un interesse conflittuale con quello del cliente (con violazione, dunque, della lettera g del citato articolo 6), ed avrebbe consigliato ed eseguito operazioni eccessivamente rischiose, se rapportate alla situazione patrimoniale del medesimo cliente (con violazione, dunque, della lettera f del medesimo articolo).

Su tale presupposto il ricorrente afferma che i contratti mediante i quali il Sa. Pa. ha, di volta in volta, compiuto dette operazioni sono da ritenere nulli, in quanto contrari a norme imperative, non potendosi condividere l'assunto della corte d'appello secondo cui la violazione delle norme sopra richiamate potrebbe generare, eventualmente, una responsabilita' risarcitoria o esser causa di risoluzione dei contratti in questione, ma non anche determinarne la nullita' ai sensi dell'articolo 1418 c.c..

E' specificamente su questo punto, come gia' accennato, che e' stato sollecitato l'intervento in chiave nomofilattica delle sezioni unite.

Giova pero' preliminarmente chiarire, a tal proposito, che nel caso in esame non si ravvisa la necessita' di comporre un contrasto giurisprudenziale derivante dalla presenza di precedenti difformi decisioni delle sezioni semplici sulla questione di diritto appena riferita, perche' le diverse decisioni menzionate nell'ordinanza di rimessione hanno ad oggetto questioni diverse, nessuna della quali (ad eccezione di quella trattata nella sentenza del 29 settembre 2005, n. 19024, di cui si dira') investe specificamente il tema della presente causa. La circostanza che tutte o alcune tra tali precedenti sentenze possano, per certi aspetti, risultare piu' o meno coerenti con principi di diritto sottesi ad altre pronunce non e' sufficiente ad identificare un contrasto di giurisprudenza in senso proprio. Essa e' pero' certamente sintomo del fatto che ci si trova in presenza di una questione di massima e particolare importanza, appunto perche' chiama in causa profili di principio: cio' che, d'altronde, e' confermato anche dall'incertezza affiorata sul punto nella giurisprudenza di merito.

Nel prosieguo della presente sentenza non ci si soffermera' percio' tanto sull'esame dei singoli precedenti di questa corte in cui l'ordinanza di rimessione ha ravvisato il preteso contrasto di giurisprudenza, ma si affrontera' direttamente la questione controversa, muovendo dall'unico precedente in termini gia' prima ricordato. Va da se' che le conclusioni cui si perverra', nella misura in cui risulteranno idonee a fornire chiarimenti su questioni di principio suscettibili altresi' di riflettersi su decisioni aventi oggetto ed ambiti diversi, potranno giovare a meglio definire la giurisprudenza di questa corte in termini anche piu' generali.

1.4. Si deve certamente convenire - ed anche l'impugnata sentenza d'altronde ne conviene - sul fatto che le norme dettate dalla citata Legge n. 1 del 1991
articolo 6 (al pari di quelle che le hanno poi sostituite) hanno carattere imperativo: nel senso che esse, essendo dettate non solo nell'interesse del singolo contraente di volta in volta implicato ma anche nell'interesse generale all'integrita' dei mercati finanziari (come e' ora reso esplicito dalla formulazione del Decreto Legislativo n. 58 del 1998 articolo 21 lettera a, ma poteva ben ricavarsi in via d'interpretazione sistematica gia' nel vigore della legislazione precedente), si impongono inderogabilmente alla volonta' delle parti contraenti.

Questo rilievo, tuttavia, non e' da solo sufficiente a dimostrare che la violazione di una o piu' tra dette norme comporta la nullita' dei contratti stipulati dall'intermediario col cliente. E' ovvio che la loro violazione non puo' essere, sul piano giuridico, priva di conseguenze - e se ne dira' - ma non e' detto che la conseguenza sia necessariamente la nullita' del contratto.

Innanzitutto, e' evidente che il legislatore - il quale certo avrebbe potuto farlo e che, nella medesima legge, non ha esitato ad altro proposito a farlo - non ha espressamente stabilito che il mancato rispetto delle citate disposizioni interferisce con la fase genetica del contratto e produce l'effetto radicale della nullita' invocata dai ricorrenti. Non si tratta quindi certamente di uno di quei casi di nullita' stabiliti dalla legge ai quali allude l'
articolo 1418 c.c., comma 3.

Neppure i casi di nullita' contemplati dal comma 2 dell'articolo da ultimo citato, pero', sono invocabili nella situazione in esame. E' vero che tra questi casi figura anche quello della mancanza di uno dei requisiti indicati dall'articolo 1325, e che il primo di tali requisiti e' l'accordo delle parti. Ma, ove pure si voglia ammettere che nella fase prenegoziale la violazione dei doveri di comportamento dell'intermediario sopra ricordati siano idonei ad influire sul consenso della controparte contrattuale, inquinandolo, appare arduo sostenere che sol per questo il consenso manca del tutto; ed i vizi del consenso - se pur di essi si possa parlare - non determinano la nullita' del contratto, bensi' solo la sua annullabilita', qualora ricorrano le condizioni previste dall'
articolo 1427 c.c. e segg..

Resta pero' da considerare l'ipotesi che, in casi come quello di cui qui si discute, la nullita' possa dipendere dall'applicazione della disposizione dettata dal comma 1 del citato articolo 1418: che si possa, cioe', predicare la nullita' (c.d. virtuale) del contratto perche' contrario a norme imperative, tali essendo appunto le norme dettate dalla Legge n. 1 del 1991 articolo 6.

1.5. La domanda che si e' appena formulata ha ricevuto gia' una motivata risposta negativa nella menzionata sentenza n. 19024 del 2005, pronunciata dalla prima sezione di questa corte, la quale, dopo aver affermato che la nullita' del contratto per contrarieta' a norme imperative postula violazioni attinenti ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, relativi alla struttura o al contenuto del contratto, ha escluso che l'illegittimita' della condotta tenuta nel corso delle trattative prenegoziali ovvero nella fase dell'esecuzione del contratto stesso possa esser causa di nullita', indipendentemente dalla natura delle norme con le quali siffatta condotta contrasti, a meno che questa sanzione non sia espressamente prevista. Donde la conclusione che ne' l'inosservanza degli obblighi informativi stabiliti dalla Legge n. 1 del 1991
articolo 6 ne' la violazione da parte dell'intermediario del divieto di effettuare operazioni con o per conto del cliente qualora abbia un interesse conflittuale (a meno che non abbia comunicato per iscritto la natura e l'estensione del suo interesse nell'operazione ed il cliente abbia preventivamente ed espressamente acconsentito per iscritto all'operazione) sono idonee a cagionare nullita'.

L'ordinanza di rimessione chiama ora le sezioni unite a valutare se tali affermazioni, e l'impianto argomentativo ad esse sotteso, debbano o meno esser tenute ferme, anche alla luce di un esame sistematico che tenga conto di orientamenti giurisprudenziali manifestati da questa stessa corte in campi diversi, nonche' delle tendenze legislative emerse in questo ed in altri settori, dai quali potrebbero eventualmente scaturire indicazioni di segno contrario a quelle espresse in subjecta materia dalla sentenza n. 19024 del 2005.

1.6. Il cardine intorno al quale ruota la sentenza da ultimo citata e' costituito dalla riaffermazione della tradizionale distinzione tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validita' del contratto: la violazione delle prime, tanto nella fase prenegoziale quanto in quella attuativa del rapporto, ove non sia altrimenti stabilito dalla legge, genera responsabilita' e puo' esser causa di risoluzione del contratto, ove si traduca in una forma di non corretto adempimento del generale dovere di protezione e degli specifici obblighi di prestazione gravanti sul contraente, ma non incide sulla genesi dell'atto negoziale, quanto meno nel senso che non e' idonea a provocarne la nullita'.

Che tale distinzione, sovente ribadita anche dalla dottrina, sia fortemente radicata nei principi del codice civile e' difficilmente contestabile. Per persuadersene e' sufficiente considerare come dal fondamentale dovere che grava su ogni contraente di comportarsi secondo correttezza e buona fede - immanente all'intero sistema giuridico, in quanto riconducibile al dovere di solidarieta' fondato sull'articolo 2 Cost., e sottostante a quasi tutti i precetti legali di comportamento delle parti di un rapporto negoziale (ivi compresi quelli qui in esame) - il codice civile faccia discendere conseguenze che possono, a determinate condizioni, anche riflettersi sulla sopravvivenza dell'atto (come nel caso dell'annullamento per dolo o violenza, della rescissione per lesione enorme o della risoluzione per inadempimento) e che in ogni caso comportano responsabilita' risarcitoria (contrattuale o precontrattuale), ma che, per cio' stesso, non sono evidentemente mai considerate tali da determinare la nullita' radicale del contratto (semmai eventualmente annullabile, rescindibile o risolubile), ancorche' l'obbligo di comportarsi con correttezza e buona fede abbia indiscutibilmente carattere imperativo. E questo anche perche' il suaccennato dovere di buona fede, ed i doveri di comportamento in generale, sono troppo immancabilmente legati alle circostanze del caso concreto per poter assurgere, in via di principio, a requisiti di validita' che la certezza dei rapporti impone di verificare secondo regole predefinite.

L'assunto secondo il quale, nella moderna legislazione (anche per incidenza della normativa europea), la distinzione tra norme di validita' e norme di comportamento starebbe tuttavia sbiadendo e sarebbe in atto un fenomeno di trascinamento del principio di buona fede sul terreno del giudizio di validita' dell'atto non e' sufficiente a dimostrare il gia' avvenuto sradicamento dell'anzidetto principio nel sistema del codice civile.

E' possibile che una tendenza evolutiva in tal senso sia effettivamente presente in diversi settori della legislazione speciale, ma - a parte la considerazione che molte delle disposizioni invocate a sostegno di questo assunto sono posteriori ai fatti di causa, e non varrebbero quindi a dimostrare che gia' a quell'epoca il legislatore avesse abbandonato la tradizionale distinzione cui s'e' fatto cenno - un conto e' una tendenza altro conto e' un'acquisizione. E va pur detto che il carattere sempre piu' frammentario e sempre meno sistematico della moderna legislazione impone molta cautela nel dedurre da singole norme settoriali l'esistenza di nuovi principi per predicarne il valore generale e per postularne l'applicabilita' anche in settori ed in casi diversi da quelli espressamente contemplati da singole e ben determinate disposizioni. D'altronde, non si e' mai dubitato che il legislatore possa isolare specifiche fattispecie comportamentali, elevando la relativa proibizione al rango di norma di validita' dell'atto, ma cio' fa ricadere quelle fattispecie nella gia' ricordata previsione del terzo (non gia' del comma 1) del citato articolo 1418 c.c.. Si tratta pur sempre, in altri termini, di disposizioni particolari, che, a fronte della gia' ricordata impostazione del codice, nulla consente di elevare a principio generale e di farne applicazione in settori nei quali analoghe previsioni non figurano, tanto meno quando - come nel caso in esame - l'invocata nullita' dovrebbe rientrare nella peculiare categoria delle cosiddette nullita' di protezione, ossi'a nullita' di carattere relativo, che gia' di per se' si pongono come speciali.

1.7. Quanto appena osservato, naturalmente, non esaurisce affatto il tema, perche' occorre ancora chiedersi se una regola diversa non viga proprio nello specifico settore del diritto dei mercati finanziari. Prima di rispondere a questo quesito, e restando per un momento ancora sul piano dei principi generali, giova pero' aggiungere che tanto l'impugnata sentenza della corte d'appello di Torino, quanto la piu' volte menzionata sentenza di questa Corte n. 19024 del 2005, sembrano individuare le norme imperative la cui violazione determina la nullita' del contratto essenzialmente in quelle che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti. Ma - si obietta - la giurisprudenza ha in passato spesse volte individuato ipotesi di nullita' nella violazione di norme che invece riguardano elementi estranei a quel contenuto o a quella struttura: per esempio, in caso di mancanza di una prescritta autorizzazione a contrarre o di clausole concepite in modo da consentire l'aggiramento di divieti a contrarre (cfr., tra le altre, Cass. 19 settembre 2006, n. 20261; Cass. 10 maggio 2005, n. 9767; Cass. 16 luglio 2003, n. 11131) o di mancanza di necessari requisiti soggettivi di uno dei contraenti (cfr., tra le altre, Cass. 3 agosto 2005, n 16281; Cass. 18 luglio 2003, n. 11247; Cass. 5 aprile 2001, n. 5052; Cass. 15 marzo 2001, n, 3753; e Cass. 7 marzo 2001, n. 3272) oppure in caso di contratti le cui clausole siano tali da sottrarre una delle parti agli obblighi di controllo su di essa gravanti (cfr. Cass. 8 luglio 1983, n. 4605), ed inoltre in caso di circonvenzione d'incapace (cfr. Cass. 23 maggio 2006, n. 12126; Cass. 27 gennaio 2004, n. 1427; e Cass. 29 ottobre 1994, n. 8948).

Tralasciando la circonvenzione d'incapace, con riferimento alla quale occorrerebbe forse rimeditare se ed entro quali limiti l'illiceita' penale della condotta basti a giustificare l'ipotizzata nullita' del contratto sotto il profilo civile, tali esempi (ed altri analoghi che si potrebbero fare) stanno certamente a dimostrare che l'area delle norme inderogabili, la cui violazione puo' determinare la nullita' del contratto in conformita' al disposto dell'
articolo 1418 c.c., comma 1, e' in effetti piu' ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo. Vi sono ricomprese sicuramente anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto: come e' il caso dei contratti conclusi in assenza di una particolare autorizzazione al riguardo richiesta dalle legge, o in mancanza dell'iscrizione di uno dei contraenti in albi o registri cui la legge eventualmente condiziona la loro legittimazione a stipulare quel genere di contratto, e simili. Se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, e' la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullita' dell'atto per ragioni - se cosi' puo' dirsi -ancor piu' radicali di quelle dipendenti dalla contrarieta' a norma imperativa del contenuto dell'atto medesimo.

Neppure in tali casi, tuttavia, si tratta di norme di comportamento afferenti alla concreta modalita' delle trattative prenegoziali o al modo in cui e' stata data di volta in volta attuazione agli obblighi contrattuali gravanti su una delle parti, bensi' del fatto che il contratto e' stato stipulato in situazioni che lo avrebbero dovuto impedire. E conviene anche osservare che, pur quando la nullita' sia fatta dipendere dalla presenza nel contratto di clausole che consentono o suggeriscono comportamenti contrari al precetto di buona fede o ad altri inderogabili precetti legali, non e' il comportamento in concreto tenuto dalla parte a provocare la nullita' del contratto stesso, bensi' il tenore della clausola in esso prevista.

1.8. Tanto chiarito, sul piano generale, e' tempo di tornare alla domanda se, nello specifico settore dell'intermediazione finanziaria, sia eventualmente riscontrabile un principio di segno diverso, tale cioe' da derogare al criterio di distinzione sopra tracciato tra norme di comportamento e norme di validita' degli atti negoziali e da condurre ad una differente conclusione.

La risposta dev'essere negativa.

In detto settore non e' dato assolutamente rinvenire indici univoci dell'intenzione del legislatore di trattare sempre e comunque le regole di comportamento, ivi comprese quelle concernenti i doveri d'informazione dell'altro contraente, alla stregua di regole di validita' degli atti.

La difesa di parte ricorrente ha inteso trarre argomento dalla previsione di nullita' dei contratti di prestazione a distanza dei servizi finanziari, contemplata dal Decreto Legislativo 19 agosto 2005, n. 190
articolo 16 comma 4, per il caso in cui il fornitore ostacoli l'esercizio del diritto di recesso da parte del contraente ovvero non rimborsi le somme da questi eventualmente pagate, oppure violi gli obblighi informativi precontrattuali in modo da alterare significativamente la rappresentazione delle caratteristiche del servizio. Ma, oltre ad essere di molto successiva ai fatti di causa, detta previsione resta sistematicamente isolata nel nostro ordinamento e presenta evidenti caratteri di specialita', che non consentono di fondare su di essa nessuna affermazione di principio.

Se si ha poi riguardo, in modo particolare, al tenore letterale delle norme dettate per disciplinare l'attivita' ed i contratti delle societa' d'intermediazione mobiliare, si constata immediatamente come il legislatore abbia espressamente ipotizzato alcune ipotesi di nullita', afferenti alla forma ed al contenuto pattizio dell'atto (Legge n. 1 del 1991
articolo 8 u.c., ed ora al Decreto Legislativo n. 58 del 1998 articolo 23 commi 1, 2 e 3, ed articolo 24, u.c.), nessuna delle quali appare tuttavia riconducibile alla violazione delle regole di comportamento gravanti sull'intermediario in tema di informazione del cliente e di divieto di operazioni in conflitto d'interessi o inadeguate al profilo patrimoniale del cliente medesimo. Situazioni, queste ultime, che il legislatore ha invece evidentemente tenuto in considerazione per i loro eventuali risvolti in tema di responsabilita', laddove ha espressamente posto a carico dell'intermediario l'onere della prova di aver agito con la necessaria diligenza (Legge n. 1 del 1991 articolo 13 u.c., ora sostituito dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998 articolo 23 u.c.).

Ne' giova appellarsi alla valenza generale dell'interesse alla correttezza del comportamento degli intermediari finanziari, per i riflessi che ne possono derivare sul buon funzionamento dell'intero mercato. Alla tutela di siffatto interesse sono preordinati il sistema dei controlli facenti capo all'autorita' pubblica di vigilanza ed il regime delle sanzioni che ad esso accede, ma nulla se ne puo' dedurre in ordine alla pretesa nullita' dei singoli contratti sul piano del diritto civile, tanto piu' che questa dovrebbe pur sempre logicamente esser concepita in termini di nullita' di protezione, ossia di nullita' relativa (come infatti indicano le citate disposizioni del D.Lgs n. 58 e del Decreto Legislativo n. 190, con riguardo ai casi in cui la nullita' e' effettivamente contemplata), e gia' questo, in difetto di qualsiasi norma che espressamente lo preveda, rende problematico ogni ancoraggio alla figura generale della nullita' configurata dall'
articolo 1418 c.c., comma 1.

E' significativo, d'altronde, che al descritto quadro normativo, per lo specifico profilo ora considerato, il legislatore non abbia mai avvertito la necessita' di apportare modifiche di rilievo da quando fu emanata la Legge n. 1 del 1991 nonostante le ripetute rivisitazioni di tale normativa sino al recentissimo del Decreto Legislativo 17 settembre 2007, n. 164 che ha recepito la direttiva n. 2004/39/Ce e che del pari si e' astenuto dall'estendere l'esplicita previsione di nullita' alla violazione delle regole di comportamento contrattuale e precontratttuale di cui si sta discutendo.

1.9. Cosi' stando le cose, la tesi secondo cui il mancato rispetto dei surriferiti doveri comportamentali dell'intermediario nella fase prenegoziale o in quella attuativa del rapporto sarebbe idoneo a riflettersi sulla validita' genetica del contratto stipulato con il cliente, priva com'e' di base testuale e di supporti sistematici, potrebbe nondimeno conservare una qualche plausibilita' solo ove risultasse l'unica in grado di rispondere all'esigenza - sicuramente presente nella normativa in questione e coerente con la previsione dell'articolo 47 Cost., comma 1 - di incoraggiare il risparmio e garantirne la tutela. Ma e' evidente che cosi' non e', perche' non puo' ragionevolmente sostenersi che la suaccennata esigenza implichi necessariamente la scelta, da parte del legislatore, del mezzo di tutela consistente proprio nel prevedere la nullita' dei contratti nelle situazioni in discorso, cosi' travolgendo sia il discrimine tra regole di comportamento e regole di validita' sia quello tra vizi genetici e vizi funzionali del contratto.

Richiamando la distinzione gia' prima tracciata tra gli obblighi che precedono ed accompagnano la stipulazione del contratto d'intermediazione e quelli che si riferiscono alla successiva fase esecutiva, puo' subito rilevarsi come la violazione dei primi (ove non si traduca addirittura in situazioni tali da determinare l'annullabilita' - mai comunque la nullita' - del contratto per vizi del consenso) e' naturalmente destinata a produrre una responsabilita' di tipo precontrattuale, da cui ovviamente discende l'obbligo per l'intermediario di risarcire gli eventuali danni. Non osta a cio' l'avvenuta stipulazione del contratto. Infatti, per le ragioni gia' da tempo poste in luce dalla migliore dottrina e puntualmente riprese dalla citata sentenza di questa corte n. 19024 del 2005 - alla quale si intende su questo punto dare continuita' - la violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non soltanto nel caso di rottura ingiustificata delle trattative, ovvero qualora sia stipulato un contratto invalido o inefficace, ma anche se il contratto concluso sia valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto; ed in siffatta ipotesi il risarcimento del danno deve essere commisurato al minor vantaggio, ovvero al maggior aggravio economico prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell'obbligo di buona fede, salvo che sia dimostrata l'esistenza di ulteriori danni che risultino collegati a detto comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto.

La violazione dei doveri dell'intermediario riguardanti invece la fase successiva alla stipulazione del contratto d'intermediazione puo' assumere i connotati di un vero e proprio inadempimento (o non esatto adempimento) contrattuale: giacche' quei doveri, pur essendo di fonte legale, derivano da norme inderogabili e sono quindi destinati ad integrare a tutti gli effetti il regolamento negoziale vigente tra le parti. Ne consegue che l'eventuale loro violazione, oltre a generare eventuali obblighi risarcitori in forza dei principi generali sull'inadempimento contrattuale, puo', ove ricorrano gli estremi di gravita' postulati dall'
articolo 1455 c.c., condurre anche alla risoluzione del contratto d'intermediazione finanziaria in corso.

Si possono ovviamente avere opinioni diverse sul grado di efficacia della tutela in tal modo assicurata dal legislatore al risparmio dei cittadini, che negli ultimi anni sempre piu' ampiamente viene affidato alle cure degli intermediari finanziari. Ma non si puo' negare che gli strumenti di tutela esistono anche sul piano del diritto civile, essendo poi la loro specifica conformazione giuridica compito del medesimo legislatore le cui scelte l'interprete non e' autorizzato a sovvertire, sicche' il ricorso allo strumento di tutela della nullita' radicale del contratto per violazione di norme di comportamento gravanti sull'intermediario nella fase prenegoziale ed in quella esecutiva, in assenza di disposizioni specifiche, di principi generali o di regole sistematiche che lo prevedano, non e' giustificato.

1.10. Da ultimo, va preso in considerazione un ulteriore rilievo, su cui insiste particolarmente il ricorrente, il quale sostiene che gli obblighi per l'intermediario di non effettuare (oltre che di non consigliare) operazioni inadeguate alla situazione patrimoniale del cliente e di non effettuare operazioni in conflitto di interessi col cliente medesimo, rispettivamente contemplati dalle lettera f) e g) del citato articolo 6, integrano veri e propri doveri di non fare, la cui violazione si traduce nella stipulazione di altrettanti contratti vietati da norma imperativa: il che, per quanto sopra detto, dovrebbe colpire alla radice gli atti vietati, rendendoli illeciti e percio' nulli.

A siffatto rilievo si deve pero' opporre che, come gia' in precedenza chiarito, il compimento delle operazioni di cui si tratta, ancorche' queste possano a loro volta consistere in atti di natura negoziale (ma e' significativo che la norma le definisca col generico termine di "operazioni") si pone pur sempre come momento attuativo di obblighi che l'intermediario ha assunto all'atto della stipulazione col cliente del "contratto quadro". Il divieto di compiere operazioni inadeguate o in conflitto d'interessi attiene, percio', anch'esso -lo si e' gia' notato - alla fase esecutiva di detto contratto, costituendo, al pari del dovere d'informazione, una specificazione del primario dovere di diligenza, correttezza e professionalita' nella cura degli interessi del cliente. Il modo stesso in cui la norma e' formulata e l'esplicito accostamento dei suaccennati doveri di informazione e di cura dell'interesse del cliente, nel compimento delle singole operazioni, denota come il legislatore abbia qui sempre voluto contemplare obblighi di comportamento precontrattuali e contrattuali, non gia' regole di validita' del contratto (sia esso il contratto d'intermediazione finanziaria o i singoli negozi con cui a quello vien data esecuzione); ed e' appena il caso di osservare che, sotto tal profilo, e' del tutto irrilevante la circostanza che l'operazione compiuta dall'intermediario sia consistita nel procurarsi da terzi i valori o gli strumenti finanziari ordinatigli dal cliente oppure nel fornirli egli stesso, trattandosi di varianti esecutive che non incidono sull'obbligo di diligenza cui l'intermediario e' tenuto e che, ai fini del presente discorso, lasciano intatta la natura esecutiva dell'operazione da lui compiuta.

1.11. In conclusione, va percio' enunciato il principio per cui la violazione dei doveri d'informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d'investimento finanziario puo' dar luogo a responsabilita' precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, ove tali violazioni avvengano nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto d'intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti; puo' invece dar luogo a responsabilita' contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del predetto contratto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni d' investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto d'intermediazione finanziaria in questione. In nessun caso, in difetto di previsione normativa in tal senso, la violazione dei suaccennati doveri di comportamento puo' pero' determinare la nullita' del contratto d'intermediazione, o dei singoli atti negoziali conseguenti, a norma dell'
articolo 1418 c.c., comma 1.

L'impugnata sentenza della corte d'appello non si e' discostata da siffatto principio ed il primo motivo di ricorso non puo' percio' trovare accoglimento.

2. Col secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell'
articolo 1933 c.c., nonche' vizi di omessa pronuncia e difetti di motivazione. Afferma che la disposizione dettata dal citato articolo 1933, in forza di quando stabilito dalla Legge n. 2 del 1991, articolo 23, risulta inapplicabile ai soli contratti uniformi a termine stipulati nei mercati regolamentati. Essa, quindi, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte d'appello, avrebbe dovuto trovare applicazione nel caso di specie, in cui si trattava di contratti non corrispondenti ad alcuno dei tipi previsti dalla normativa secondaria di settore, stipulati al di fuori del mercato di borsa.

2.1. Anche questo motivo di ricorso appare infondato.

E' assorbente rilevare, in proposito, anzitutto che la mera presenza in un contratto di un intento speculativo o di un certo grado di alea non vale a renderlo assimilabile ad un giuoco o ad una scommessa, cui sia applicabile il regime giuridico dettato dal citato articolo 1933 c.c.; inoltre che, quando pure di vero e proprio gioco o scommessa si tratti, l'anzidetta norma e' invocabile solo a condizione che vi sia stata partecipazione consapevole al gioco o alla scommessa di tutte le parti del rapporto (cfr., in argomento, Cass. 2 settembre 2004, n. 17689).

Cio' premesso, occorre subito osservare che l'acquisto e la vendita a termine di valuta e le altre operazioni finanziarie di cui nel presente caso si discute, pur comportando sicuramente un certo grado di alea e pur potendo essere anche ispirati da intenti speculativi da parte di chi quelle operazioni abbia disposto, non sono di per se' necessariamente riducibili ad una scommessa sul futuro andamento dei tassi di cambio, potendo altrettanto ragionevolmente fungere da strumenti di stabilizzazione del rischio. Da quanto riportato nell'impugnata sentenza non si ricava che, nella specie, le operazioni intraprese avessero caratteristiche incompatibili con lo scopo di copertura da rischi e tanto meno, quindi, si ricava che nel giudizio di merito sia stata raggiunta la prova che il Sa. Pa. fosse consapevole di essere entrato con il Sig. Gr. in un rapporto di gioco o scommessa. Tanto basta a rendere non applicabile nella fattispecie in esame della previsione del citato articolo 1933.

3. Il terzo motivo di ricorso e' volto a denunciare la violazione degli articoli 633 e 125 c.p.c., oltre che vizi di motivazione dell'impugnata pronuncia. Nega infatti il ricorrente che le censure formulate nell'atto d'appello in ordine alla ritualita' dell'ingiunzione ed al difetto di valida pattuizione di interessi convenzionali fossero generiche, in rapporto alle apodittiche affermazioni contenute su tali punti nella sentenza di primo grado.

3.1. Neppure tale doglianza e' meritevole di accoglimento.

Va premesso che i rilievi riguardanti la ritualita' del procedimento monitorio sono superati dall'intervenuta revoca del decreto ingiuntivo e dal fatto che la condanna al pagamento di una somma di denaro e' stata pronunciata all'esito di un giudizio di opposizione da considerarsi, per questo profilo, del tutto equivalente ad un ordinario giudizio di cognizione.

Quanto agli altri rilievi, va detto che l'inammissibilita' di motivi d'appello che si sostanzino nel generico richiamo alle difese di primo grado non e' sanata dall'asserita insufficienza della motivazione in base alla quale quelle difese siano state rigettate dal giudice a quo. Vi osta pur sempre il principio della specificita' dei motivi di gravame: principio che assolve alla duplice funzione di delimitare l'estensione del percio' postula la specificazione, sia pure in forma succinta, degli errori attribuiti alla sentenza di primo grado, ivi compreso eventualmente quello consistente proprio nell'insufficienza della motivazione posta a sostegno della decisione di rigetto.

4. Il quarto motivo di ricorso mette in discussione la declaratoria d'inammissibilita' della domanda di risarcimento dei danni proposta dal Sig. Gr.. Declaratoria che il ricorrente, denunciano la violazione degli articoli 183 e 189 c.p.c., nonche' vizi di motivazione della sentenza impugnata, ritiene errata perche' la corte d'appello non ha considerato che i fatti posti a base della pretesa risarcitoria formalizzata in corso di causa erano gia' stati sostanzialmente riferiti nell'atto introduttivo, che la domanda non poteva pertanto considerarsi davvero nuova e che, comunque, la tacita accettazione del contraddittorio ad opera della controparte avrebbe dovuto indurre senz'altro la corte territoriale ad esaminarla nel merito.

4.1. La riferita censura e' manifestamente infondata.

E' appena il caso di ricordare che, con riferimento ai profili processuali, questa corte e' anche giudice del fatto, di modo che non possono trovare autonomo spazio doglianze concernenti pretesi vizi della motivazione del provvedimento impugnato.

Va poi confermato il principio secondo cui il regime di preclusioni introdotto nel codice di rito dalla Legge n. 353 del 1990 e' inteso non solo a tutela dell'interesse di parte ma anche dell'interesse pubblico al corretto e celere andamento del processo, con la conseguenza che la tardivita' di domande, eccezioni, allegazioni e richieste deve essere rilevata d'ufficio dal giudice indipendentemente dall'atteggiamento processuale della controparte al riguardo (cfr. tra le altre, Cass., 27 luglio 2006, n. 17152; e Cass. 11 maggio 2005, n. 9875).

Tanto basta a confermare la correttezza della declaratoria d'inammissibilita' della domanda di risarcimento dei danni tardivamente proposta dal Sig. Gr.. Non puo' infatti da alcun punto di vista ritenersi che detta domanda fosse, sia pur solo implicitamente, gia' contenuta nell'atto introduttivo del giudizio, nel quale nessuna riconvenzionale era stata proposta, ne' davvero si vede come le argomentazioni ivi formulate possano esser poste al servizio di un petitum risarcitorio del tutto inespresso.

5. L'ultimo motivo di ricorso ha ad oggetto la statuizione sulle spese di causa, che la corte d'appello ha ritenuto di dover liquidare prescindendo dalla tariffa forense, ritenuta non conforme al Trattato Ue: del che il ricorrente si duole.

5.1. La doglianza appare, tuttavia, inammissibile.

Essa, infatti, non e' corredata dall'indicazione di alcun dato dal quale sia possibile ricostruire con certezza quale onorario avrebbe potuto esser liquidato dal giudice d'appello in applicazione della richiamata tariffa forense, ne' ad un tale accertamento puo' procedere questa corte d'ufficio. Non e' dato quindi con certezza sapere se la liquidazione in concreto operata sia stata, per il ricorrente, meno favorevole di quella cui si sarebbe pervenuti applicando il criterio legale che egli invoca, e cio' impedisce di vagliare la sussistenza del concreto interesse che, a pena d'inammissibilita', deve sorreggere la proposta censura.

6. Il ricorso va quindi rigettato.

La complessita' della questione che ha comportato l'intervento delle sezioni unite, la mancanza di precedenti giurisprudenziali di questa corte sul punto, all'epoca della proposizione del ricorso, e la varieta' delle soluzioni offerte al riguardo dalla giurisprudenza di merito fanno apparire equa la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimita'.

P.Q.M.

La corte, pronunciando a sezioni unite, rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimita'

 
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